Pignoramenti immobiliari a rischio, laddove la certificazione notarile ex art. 567 c.p.c. depositata dal creditore non attesti l'esistenza di un titolo di acquisto precedente, che sia efficace per far presumere l'acquisto "a titolo originario" della proprietà in capo al debitore esecutato, in quanto anteriore al ventennio rispetto alla data del pignoramento. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 11 giugno 2019, n. 15597, mettendo in discussione le “relazioni ventennali” notarili, se in esse l’usucapione finisce per essere indebitamente presunta, per assenza di rilevazione di un titolo che provi l'acquisto del bene da parte del debitore pignorato o del suo dante causa - o, come nella fattispecie, “del dante causa dei danti causa” - in una data anteriore al ventennio.
Nel caso sottoposto all'esame della Suprema Corte, il pignoramento risaliva al 2008 e l'acquisto dell’immobile da parte del debitore pignorato era del 2002, mentre i venditori lo avevano a loro volta ricevuto per successione da un de cuius scomparso poco prima. In ogni caso, l'ultima data certa di un passaggio di proprietà era ampiamente posteriore rispetto al termine ventennale a ritroso dalla data del pignoramento. Le verifiche notarili infatti attestavano di essere risalite fino al luglio 1957 senza trovare altri passaggi di proprietà, in quanto quest'ultima data corrispondeva alla prima disponibile per la Conservatoria meccanizzata (cioè, la data più risalente in cui i rogiti notarili e gli altri titoli cartacei erano passati per l'acquisizione ottica, e quindi erano disponibili per le ricerche meccanizzate).
Questa assenza di titoli anteriori ha fatto sì che la certificazione notarile di specie sia stata considerata insufficiente per attestare la proprietà del bene, e quindi il giudice dell'esecuzione abbia dichiarato la chiusura anticipata del processo esecutivo. L'ordinanza di chiusura (detta, in senso improprio, di estinzione del pignoramento) era stata appellata e poi fatta oggetto del ricorso in Cassazione la cui sentenza qui si commenta.
Già il Tribunale, quale giudice dell'esecuzione, in assenza di produzione del titolo comprovante l'acquisto a favore dei danti causa in una data anteriore al ventennio, aveva sostenuto che la compiuta usucapione costituisse nella specie una “mera illazione”. Nel contempo, aveva precisato che non spetta mai al giudice dell'esecuzione accertare la proprietà del bene in capo al debitore esecutato, in quanto la previsione dell'art. 567 c.p.c. serve unicamente a garantire, per via di una verifica formale della quale il giudice dell'esecuzione deve solo rilevare l'effettuazione, un minimo di certezza e affidabilità alla vendita giudiziaria. Il che vale a dire che il giudice dell'esecuzione non può né tanto meno deve sostituirsi al creditore nell'accertare la presunzione di usucapione, magari ordinando le ricerche a ritroso mancanti negli archivi cartacei della Conservatoria, perché questo ordine eccederebbe i poteri officiosi del giudice medesimo.
La Cassazione ha confermato questa interpretazione, ricordando che a seguito della riforma dell'articolo 567 c.p.c., che ha introdotto la certificazione notarile sullo status del bene secondo le risultanze della Conservatoria, in luogo della produzione dei certificati di trascrizione, lo scopo della norma è rimasto quello di “garantire, con un grado di ragionevole probabilità, che l'espropriazione sia condotta su beni dell'esecutato”. Non si tratta di escludere del tutto la possibilità di una successiva evizione, bensì di "perimetrarla" attraverso verifiche che, pur non essendo di per sé stesse la prova definitiva della proprietà, consentano di offrire a chi si avvantaggerà del decreto di trasferimento coattivo del bene un minimo di certezza del suo acquisto a titolo derivativo.
Quindi, sostenere che la certificazione notarile costituirebbe di per sé prova sufficiente della certezza della proprietà, anche quando in essa manca palesemente la verifica del titolo idoneo a fare effettivamente presumere l'usucapione, per l'appunto indebolirebbe lo standard di “affidabilità” della proprietà del bene trasferito che la procedura vuole garantire. Insomma, la parola del notaio non basta, se nelle certificazioni ex art. 567 c.p.c. quest'ultimo opera la presunzione di usucapione, e quindi di acquisto della proprietà a titolo originario in capo all'esecutato, senza dar conto dell'effettiva sussistenza di un titolo trascritto da parte di un precedente dante causa che consenta effettivamente di dare per presunta l’usucapione ventennale.
Nella espropriazione forzata immobiliare, secondo la sentenza in esame della Cassazione, è dunque sempre “doverosa la richiesta, da parte del giudice dell'esecuzione ai fini della vendita forzata, della certificazione attestante che, in base alle risultanze dei registri immobiliari, il bene pignorato appaia di proprietà del debitore esecutato sulla base di una serie continua di trascrizioni d'idonei atti di acquisto riferibili al periodo che va dalla data di trascrizione del pignoramento fino al primo atto di acquisto precedente al ventennio a decorrere dalla stessa”.
Pertanto, se il giudice dell’esecuzione emana una “ordinanza di richiesta del primo atto di acquisto ultraventennale” ma a questa fa seguito “la mancata produzione del suddetto titolo, imputabile al soggetto richiesto”, allora l'unica soluzione conseguente è “la dichiarazione di chiusura anticipata del processo esecutivo”. Infatti la Cassazione è d'accordo sul principio per cui non può spettare al giudice dell'esecuzione di accertare la proprietà del bene, “sicché restano [pur sempre] possibili evizioni”, ma ciò non toglie che la richiesta del titolo attestante un passaggio di proprietà ultraventennale rispetto al pignoramento sia comunque necessaria, senza dare per buono quanto dichiarato dal notaio, in quanto tale requisito rientra nel novero di “indici formali o presuntivi, ma pur sempre di apprezzabile intensità ed affidabilità” che ai sensi dell’art. 567 c.p.c. devono accompagnare l’istanza di vendita e essere verificati nella loro sussistenza da parte del giudice.
La Suprema Corte ha altresì precisato, come del resto già il giudice dell'esecuzione remittente, che nulla avrebbe impedito all'autore della certificazione notarile ulteriori indagini a ritroso in Conservatoria, sui registri cartacei, essendo il luglio 1957 unicamente la data a cui era giunta la meccanizzazione dei dati.
Commentaires