Bigenitorialità, un valore ancora troppo frainteso
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Quando, nel 2008, l’avvocato Massimiliano Fiorin ha iniziato a occuparsi dei grandi temi del diritto di famiglia, con la pubblicazione del suo primo saggio sulla “Fabbrica dei Divorzi”, il principio della bigenitorialità stava appena iniziando a trovare un minimo di attenzione. Purtroppo, già si trattava di un argomento tanto controverso quanto ampiamente frainteso, che ancora oggi fatica a ottenere adeguati spazi di discussione nel pubblico dibattito.
All’epoca erano passati solo due anni da quando le battaglie dei padri separati, che non tolleravano più di vedersi esclusi dalla vita dei propri figli a seguito di eventi come la separazione e il divorzio, avevano portato all’approvazione della Legge n. 54 del 2006 sull’affidamento condiviso. Si era trattato di una pietra miliare, nella battaglia per l’affermazione del principio di bigenitorialità, anche se - come previsto da molti fin dal primo giorno - si sarebbe dovuto attendere ancora a lungo per vedere davvero applicati i criteri legali che avrebbero consentito ai figli dei separati e dei divorziati di mantenere nella loro vita l’effettiva presenza di entrambi i genitori.
Prima di questa riforma, le norme vigenti erano ancora riferite a una situazione sociale ormai non più esistente da tempo, dove la separazione coniugale era un fenomeno marginale. La legge stabiliva ancora l’affidamento esclusivo dei figli al genitore che dopo la separazione sarebbe rimasto a vivere con essi, che nella pratica - allora come oggi - era la madre in più del 95% dei casi. Pertanto, era ormai divenuto chiaro che con la disgregazione generalizzata dei nuclei familiari, dovuta a un aumento imponente delle separazioni e dei divorzi, si erano create situazioni di squilibrio che stavano diventando un’emergenza sociale e giudiziaria insostenibile.
Tuttavia, come si è detto, pure dopo la legge del 2006 è stato difficile convincere i giudici della necessità di applicare in maniera generalizzata il principio della bigenitorialità. Troppi pregiudizi erano ancora sussistenti riguardo al fatto che con l’affidamento condiviso si sarebbe aumentata la conflittualità, e i tribunali non sarebbero riusciti a gestire i continui ricorsi dei genitori separati in disaccordo sulla gestione dei figli. Ci sono voluti diversi anni affinché i più consapevoli e preparati operatori del diritto si convincessero del fatto che fosse necessario, nell’interesse dei figli, favorire una prosecuzione effettiva e condivisa di entrambi i genitori separati nei rispettivi compiti educativi.
Eppure, anche oggi che il principio per cui “si continua a essere entrambi genitori anche dopo la separazione” si è finalmente affermato in modo incontrastato, continuano a sussistere gravi e generalizzate violazioni del criterio di bigenitorialità. Nella prassi, infatti, continua a essere praticato nella grande maggioranza delle situazioni il cosiddetto “collocamento prevalente” dei figli minori presso la madre, specialmente quando essi sono in età prescolare o frequentano ancora le scuole elementari. Questo comporta che non sono tuttora finite le sofferenze dei tanti padri separati, che dopo essere stati estromessi da casa si vedono legalmente ridotti ad un ruolo di bancomat per i propri figli, senza poter conservare con essi rapporti davvero pieni e significativi.
Inoltre, la mancata applicazione del principio di bigenitorialità comporta che il genitore collocatario continua a essere in condizione di perpetrare in modo indisturbato veri e propri abusi nei confronti dei propri figli, talvolta senza nemmeno rendersene conto. I bambini e i ragazzi continuano infatti a essere usati come uno scudo per praticare la “punizione” dell’ex compagno dal quale si è stati delusi, se non proprio per perseguire i propri interessi economici.
Una delle cause principali di questo fenomeno è la persistenza dell’istituto dell’assegnazione della casa familiare, ancora vigente benché sempre più destituito di un vero fondamento nella attuale situazione sociale. Per di più, l’assenza di un vero e proprio obbligo di condivisione dei rapporti genitoriali è spesso la principale ragione per cui la conflittualità tra le parti - anche dopo anni dalla separazione - rimane accesa se non proprio patologica, e questo induce sulla vita dei figli effetti molto più dirompenti di quanto non si voglia ammettere.
Il dibattito suscitato sulla recente proposta di riforma della legge sull’affidamento condiviso del senatore Simone Pillon (ddl n. 735), ha fatto affiorare nitidamente quanto in Italia siano ancora diffusi i pregiudizi ideologici e gli interessi strumentali che impediscono una piena attuazione del principio di bigenitorialità. La prospettiva di vedere introdotto anche in Italia un principio raccomandato niente meno che dal Consiglio d'Europa, e quindi già serenamente in vigore negli ordinamenti di molte nazioni continentali, così come in vari Paesi americani, qui da noi ha suscitato reazioni scomposte, e prese di posizione profondamente irrazionali.
La proposta dello shared parenting - dove va effettivamente rispettata la ripartizione dei tempi di permanenza del figlio con ciascun genitore, anche con applicazione della “doppia residenza” del minore nella casa di entrambi - qui in Italia ha suscitato un profondo scandalo, con tanto di proteste di piazza. I politici più irresponsabili e ideologicizzati hanno così imposto il temporaneo accantonamento del disegno di legge. Eppure, nelle nazioni che da questo punto di vista si dimostrano più evolute, la bigenitorialità è vista pure come un atteggiamento di favore per le esigenze delle donne lavoratrici, che conservano in questo modo, nonostante la separazione, la possibilità di coinvolgere il partner nella gestione del gestione della vita quotidiana dei figli.
Solo in Italia un disegno di legge come quello sopra citato è stato considerato come un attacco reazionario ai sacrosanti diritti femminili, a dimostrazione di quanto l’ideologia femminista nel nostro Paese sia su posizioni retrograde, che ritengono giustificato l’utilizzo del rapporto privilegiato delle madri coi figli come uno strumento di potere. A rimetterci, come sempre in questi casi, sono i figli stessi, che avrebbero tutto da guadagnare nella possibilità di mantenere rapporti equilibrati con ciascuno dei loro genitori, indipendentemente da quello che può essere successo nella loro relazione familiare.
I successi che la pratica dello shared parenting ha fatto registrare nei Paesi in cui è già correntemente applicata, secondo tutti gli osservatori scientifici imparziali, solo in Italia vengono misconosciuti. Nel diritto di famiglia tutti si riempiono la bocca, e gli atti giudiziari, del concetto del “preminente interesse del minore”.
Tuttavia, nel nostro Paese, quando si parla di bigenitorialità molto spesso non si riesce nemmeno a individuarne correttamente il concetto, a causa di ignoranza e di pregiudizi ideologici, e anzi spesso se ne usa il principio come copertura per perseguire interessi che in realtà sono degli adulti.
Anche per questo motivo, è tuttora necessario che gli operatori del diritto di famiglia imparino a superare pregiudizi ideologici contro la bigenitorialità dei quali spesso non si rendono nemmeno conto, tornando a lasciar parlare il buon senso e la realtà dei fatti, senza farsi prendere la mano dagli interessi egoistici dei clienti.