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Finché la legge non vi separi

Perché la fabbrica dei divorzi sta distruggendo

la nostra civiltà - Ed. San Paolo, 2012

Dalla Prefazione

Al termine della prima lettera ai Tessalonicesi, San Paolo si era congedato dai fedeli con la famosa esortazione a “non disprezzare le profezie, vagliando attentamente ogni cosa e trattenendo ciò che è buono”.

Sono le esatte parole che mi sono tornate alla mente, nel momento in cui mi è stato proposto di realizzare questo saggio, che è figlio di quello originariamente pubblicato nel 2008 sotto il titolo La Fabbrica dei Divorzi. L'accoglienza ricevuta dalla prima edizione, specialmente da parte degli specialisti del diritto di famiglia, mi aveva infatti definitivamente convinto che alla base dell'attuale crisi del matrimonio vi fosse una falsa profezia. Una gigantesca menzogna che iniziò a diffondersi in modo dirompente sul finire degli anni Sessanta del secolo scorso, e ancora oggi domina incontrastata.

Si tratta del diritto di divorziare senza alcun motivo oggettivo, anche in mancanza del consenso dell'altro coniuge, che nel corso di quegli anni venne presentato come una conquista che avrebbe dovuto portare maggiore giustizia e felicità per tutti. Il divorzio libero e incondizionato - idea che mai era stata accolta prima, in alcun ordinamento giuridico del mondo - soltanto allora iniziò a essere considerato come un traguardo di libertà da raggiungere al più presto, in quanto una società davvero evoluta non avrebbe potuto farne a meno ancora per molto.

Prima di quell'epoca così ideologizzata, anche nei paesi di tradizione protestante che pure lo ammettevano nelle loro leggi, il divorzio non era mai stato considerato un diritto, bensì un rimedio estremo per porre fine a matrimoni oggettivamente falliti.

Ora, a decenni di distanza, se sapessimo guardare con uno sguardo razionale al crescente numero di fatti di sangue che si verificano, anno dopo anno, per ragioni connesse alla disgregazione dei nuclei familiari, nonché ai malesseri e ai danni gravi che si generano nelle persone coinvolte - a cominciare dai minori - faremmo invece presto a concludere che il prezzo che stiamo continuando a pagare per la “conquista civile” del divorzio è davvero molto alto. Eppure, la maggior parte delle persone - anche tra coloro che si occupano del problema per ragioni professionali - sembra del tutto incapace di trarre le dovute conseguenze da fatti che pure sono incontrovertibili, o almeno di cominciare a porsi qualche domanda.

L'invito paolino a vagliare ogni cosa, e cioè a indagare razionalmente la realtà, rispetto al problema del divorzio rimane dunque ampiamente ignorato.

Al di fuori dell'ambito del mondo cattolico, dopo la pubblicazione della Fabbrica dei Divorzi è stato difficile trovare altri specialisti disposti a entrare nel merito dei problemi denunciati, e a discutere dei rimedi proposti, a partire dalla deontologia forense e dal covenant marriage. Per non parlare, poi, della più complessa questione della paternità e della crisi del maschile.

Nessuno ha mai ha potuto sostenere che i dati da me presentati, riguardo alla denatalità, alla disgregazione sociale, alla violenza e ai disagi indotti dal divorzio facile non fossero veri, o che fossero spiegabili mediante altre cause più o meno esplorate.

Tuttavia, secondo il mainstream del pensiero di coloro che si occupano del problema, al massimo si può dibattere dei modi con i quali vengono affrontate le conseguenze del divorzio. A condizione, però, che non si metta mai in discussione il diritto di ognuno di inseguire il proprio desiderio individuale, al di sopra di ogni altro bene familiare e sociale... Insomma, tanti dicono di avere una ricetta per curare i sintomi, ma tuttora ben pochi sono disposti a ammettere che il divorzio in sé è la malattia...

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