La Cassazione è tornata sul problema dell'ascolto del minore nei procedimenti di separazione e divorzio che lo riguardano, con una sentenza, la n. 10774 del 17 aprile scorso, con la quale ha avuto il merito di ribadire come l'ascolto del minore non sia una mera facoltà del giudice, bensì un vero e proprio obbligo che deve essere assolto a pena di nullità dei provvedimenti sull'affidamento. Ciò avviene non solo quando il bambino è già ultradodicenne, ma anche quando pur essendo più piccolo si avvicina all'età del discernimento (che, secondo gli esperti, non può essere esclusa sopra i 9-10 anni), a meno che il giudice non riesca a motivare con ragioni oggettive la mancanza del discernimento stesso, ovvero la superfluità dell'ascolto.
Nella specie, si era trattato della penosa vicenda di una separazione conflittuale in cui la madre aveva portato con sé il figlio in un'altra regione, molto distante da quella della convivenza familiare, costringendo il padre a una battaglia che davanti al Tribunale di Busto Arsizio, in prime cure, lo aveva visto ottenere l'affidamento esclusivo e l'addebito della separazione alla moglie, per abbandono della casa familiare.
Tuttavia la Corte d'Appello di Milano, con una motivazione simile per filosofia al famoso detto “cosa fatta capo ha” (che non a caso, storicamente, pare essere nato a seguito di una vicenda di contenzioso familiare nella Firenze del Duecento), aveva ribaltato la sentenza del Tribunale affidando il piccolo ai Servizi Sociali del comune di residenza, ma lasciandolo comunque collocato presso la madre. Infatti, il bambino sembrava essersi ben integrato nella nuova residenza in un paesino della Sicilia, dove la madre aveva iniziato una convivenza con un altro uomo, dalla quale le era nato un altro figlio, e pertanto per la Corte d'Appello doveva essere privilegiata la "continuità".
Il padre, vistosi privato dell’affidamento e della possibilità di vedere regolarmente il figlio, aveva quindi coraggiosamente proposto in Cassazione ben 17 motivi di impugnazione, contestando punto per punto tutti gli aspetti della decisione che in definitiva aveva semplicemente ignorato la consulenza tecnica d'ufficio disposta dal Tribunale di prime cure, che pure aveva considerato il padre come genitore più idoneo a realizzare gli interessi del figlio. Tutto questo, tra l'altro, era avvenuto in una situazione in cui la madre aveva a lungo e platealmente boicottato la stessa CTU, disertando le convocazioni del perito e frapponendo continui impedimenti all'ascolto del minore. Risultava inoltre che il trasferimento della mamma in una città molto distante non fosse l'unico punto critico riguardo alla collocazione del figlio, visto che la donna avrebbe trascurato pure le carenze scolastiche e le esigenze di salute del bambino.
Nonostante la copiosità dei motivi di ricorso, la Suprema Corte ha ritenuto di poterli considerare tutti assorbiti da un aspetto fondamentale, che consisteva proprio nel mancato ascolto del bambino. Infatti, grazie all'ostruzionismo della mamma, in tutto il lungo e assai combattuto procedimento non era risultato che l'opinione del bambino fosse stata mai raccolta, se non una volta sola, da uno psicologo del servizio sociale del consultorio familiare di un comune siciliano, che aveva avuto in via del tutto eccezionale l'occasione di potergli parlare.
La Cassazione ha così ritenuto questo aspetto sufficiente per cassare con rinvio la sentenza d'appello, ritenendo dirimente non soltanto che il bambino non fosse mai stato sentito, ma anche che i giudici del merito non si fossero mai curati di verificare, con "obbligo di specifica e circostanziata motivazione", se la capacità di discernimento ci fosse o meno, e se l'ascolto non dovesse essere ritenuto superfluo, ovvero contrario all'interesse del piccolo, o se in alternativa si potesse sostituire all'esame diretto del giudice quello di un esperto, come del resto spesso avviene nella prassi.
Sul punto è stata richiamata la ordinanza n. 12957 del 2018, ed è stato ribadito il principio per cui l'obbligo di motivazione del giudice è “tanto più necessario quanto più l'età del minore si approssima a quella di dodici anni, oltre la quale subentra l'obbligo legale dell'ascolto”, come previsto anche dall'articolo 6 della Convenzione di Strasburgo del 1996. In realtà, nei procedimenti di merito capita spesso che, nonostante la esasperata conflittualità tra i genitori, i magistrati cerchino di evitare l'ascolto diretto del minore sia ultradodicenne che di età inferiore ma capace di discernimento. E’ infatti trasparente l'imbarazzo dei giudici di merito rispetto a un compito che, pur essendo affidato dalla legge direttamente a loro, ritengono di esclusiva competenza degli esperti di psicologia e psichiatria infantile, che infatti solitamente nominano come periti d'ufficio, anche in via incidentale. La stessa ordinanza 12957 del 2018, richiamata nella sentenza qui commentata, ha precisato infatti che "l'ascolto diretto del minore dà spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento del procedimento che lo riguarda, mentre la consulenza è indagine che prende in esame una serie di fattori, quali, in primo luogo, la personalità, la capacità di accudimento e di educazione dei genitori, la relazione in essere con il figlio". Questa sembra essere la ragione della implicita preferenza per l'ascolto delegato agli esperti di psicologia e psichiatria infantile. Tuttavia, è importante precisare che proprio per questi motivi l'ascolto non può essere semplicemente delegato né tanto meno omesso, ma occorre che il giudice espliciti i motivi per cui non abbia ritenuto, nonostante le istanze di parte, di procedere a un ascolto diretto.
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