Intervista di Giuliano Guzzo all'avv. Massimiliano Fiorin su La Verità del 27 maggio 2023
Non sono purtroppo molti in Italia i legali che, pur conoscendole bene, hanno il coraggio di denunciare criticità, storture e soprattutto conseguenze del divorzio. Tra quei pochi però c'è senza dubbio Massimiliano Fiorin. Classe 1967, bolognese, sposato con tre figli, Fiorin - che è anche giornalista pubblicista - ha difatti dedicato al tema numerosi saggi, tra i quali ricordiamo: La fabbrica dei divorzi (2008), Finché la legge non vi separi (2012), L'Amore non si arrende (2018), Il Diritto e il Desiderio - ritrovare se stessi attraverso le crisi familiari (2021). Per questa sua indubbia conoscenza della materia La Verità lo ha avvicinato.
- Avvocato Fiorin, a cinquant’anni dalla vittoria referendaria del 1974 è tempo di bilanci. Che cos’ha dato all’Italia oltre mezzo secolo di divorzio?
"Ce lo ha appena confermato l’Istat: in Italia la nuzialità è in calo inarrestabile ormai da quarant’anni. Nei primi anni Settanta i matrimoni erano più del doppio di oggi. Le libere unioni, invece, sono più che triplicate negli ultimi vent’anni. Nel 2021 si sono celebrati poco più di 180 mila matrimoni, ma non è bastato a colmare lo stop dovuto alla pandemia. L’anno precedente, infatti, a causa dei lockdown le nuove nozze si erano ridotte di circa la metà. Questo dimostra che per gli italiani il matrimonio è ormai diventato, per così dire, un fenomeno istantaneo, legato al fascino della cerimonia e ai viaggi di nozze"..
- Nei suoi libri e articoli ha più volte denunciato quella che ha chiamato “fabbrica divorzista”: a che cosa si riferisce?
"Nei miei saggi sul tema, ho messo in luce le conseguenze più disastrose del divorzio di massa. Non se ne parla volentieri nemmeno tra specialisti, perché tutti hanno paura di mettere in discussione le libertà individuali. Ma non si possono avere dubbi sul fatto che il fenomeno, in primo luogo, abbia provocato un impoverimento collettivo. Quando una famiglia si divide, a parità di redditi complessivi, raddoppiano le spese e gli oneri abitativi, e cresce il costo della vita. Inoltre, la rottura delle alleanze coniugali e genitoriali genera in ogni interessato malesseri psicologici gravi. Per non parlare dei fatti di violenza. Soprattutto, l’esperienza dimostra che la rottura dei nuclei familiari pregiudica il benessere psicologico dei figli. Rispetto al loro sviluppo educativo, l’assenza forzosa di un genitore è alla base di ritardi e devianze di ogni tipo".
- Il divorzio viene da decenni presentato, insieme all’aborto, come un fondamentale diritto civile. Eppure, lei ha più volte scritto che, in realtà, non è neppure un diritto. Come mai?
"Nel 1970, in Italia come in altri Paesi, si è scelto di adottare il modello del “divorzio-rimedio”.
Quindi, una scelta non incondizionata, che l’ordinamento dovrebbe concedere solo dietro la verifica dell’esistenza di una grave situazione di crisi. Ancora oggi, il nostro codice civile lo prevederebbe, ma ormai da decenni la giurisprudenza ha introdotto il principio della intollerabilità soggettiva, per cui di fatto basta che uno dei due coniugi dica che non sopporta più l’altro. Per questo, quando alla base di una crisi familiare non ci sono ragioni gravi e oggettive – e non ci sono nella grande maggioranza dei casi – il sistema dei divorzi è diventato come un tritacarne al quale non si può sfuggire".
- Perché anche nel mondo cattolico, ormai, c’è riluttanza a denunciare le gravi conseguenze di separazioni e divorzi?
"La Chiesa cattolica si trova di fronte a una situazione mai verificatasi prima nella storia del cristianesimo occidentale. Quando San Paolo predicava per l’Impero Romano, aveva trovato che anche allora il matrimonio non godeva di buona salute. Esistevano famiglie disgregate, allargate, o poligame. All’epoca sembrava impossibile introdurre l’inaudita novità dell’indissolubilità. Eppure, il cristianesimo ci è riuscito, rivoluzionando la società e i rapporti tra uomini e donne.
Oggi i tribunali ecclesiastici, di fronte alla facilità con la quale anche i cattolici possono incappare in un divorzio, hanno introdotto cause di nullità un tempo impensabili. Tuttavia, di fronte a certe ipocrisie alle quali si è dato luogo, a mio avviso sarebbe meglio, anche per coerenza dottrinale, che il cattolicesimo occidentale affrontasse il problema in modo simile a quello adottato dagli ortodossi".
- Come si potrebbe intervenire, sulla base della sua esperienza, per arginare la disgregazione della famiglia?
"Il divorzio libero e incondizionato ha creato nella popolazione più giovane una motivata sfiducia nel matrimonio. Infatti, quando ci si sposa, si accetta di dipendere dall’altro sul piano affettivo, esistenziale e soprattutto patrimoniale.
Tuttavia, rispetto a questi obblighi, oggi non c’è più alcuna garanzia di reciprocità. Per questo, come prima cosa, per rilanciare il matrimonio si dovrebbero eliminare alcune norme ormai poco giustificabili, come l’assegnazione della casa familiare e il divieto dei patti prematrimoniali o in vista del divorzio.
Purtroppo, su questo tema in Italia ci sono ritardi culturali maggiori che nel resto del mondo. Basti pensare al principio della shared custody, per cui, in caso di separazione, i figli dovranno venire collocati per non più dei due terzi del tempo complessivo con lo stesso genitore. Si tratta di un principio raccomandato dal Consiglio d’Europa, che in tanti Paesi è stato introdotto con ottimi risultati. All’estero lo vedono come un criterio progressista, sostenuto anche dalle femministe. Nondimeno, quando è stato proposto qui da noi, la sola idea ha provocato indignate levate di scudi, a dimostrazione di come in Italia sussistano tuttora pregiudizi altrove superati".
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