Contributi di mantenimento alla prole: non conta la volontarietà delle scelte peggiorative della situazione economica di un genitore
- Studio Legale Fiorin
- 21 lug
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Il principio di proporzionalità, fondamentale per la determinazione degli assegni di mantenimento per la prole dei genitori separati o divorziati, è tornato all’attenzione della Corte di Cassazione. Nonostante i principi che regolano la materia siano ormai indiscussi, non è sempre facile seguirne l’applicazione concreta nella giurisprudenza, in quanto spesso intervengono fattori particolari che i giudici non considerano allo stesso modo.
Ora, con l’Ordinanza n. 19288 del 14 luglio 2025, la prima sezione della Suprema Corte ha stabilito che, in tema di contributi di mantenimento per i figli, il giudice deve valutare in concreto le risorse economiche attuali di entrambi i genitori, ai sensi dell’art. 337 ter, comma 4, cod. civ..
È fondamentale il richiamo, oltre che alla concretezza, alla attualità della situazione. Ciò significa che il giudice deve considerare – nelle specificità di ogni situazione e non solo a livello di principio – la situazione reddituale di entrambi i genitori, facendo riferimento al momento presente, e non all’epoca in cui il livello dei contributi era stato originariamente stabilito.
Il criterio dell’attualità impone l’applicazione del principio “rebus sic stantibus”: non contano le situazioni pregresse, e nemmeno le cause dei mutamenti economici, patrimoniali e reddituali intervenuti. La sentenza in esame ha inoltre stabilito l’irrilevanza dal fatto che detti mutamenti siano stati eventualmente frutto di scelte unilaterali, purché gli stessi siano stati motivati da esigenze economiche reali e documentate.
Nella specie, la Suprema Corte ha cassato una pronuncia della Corte d'Appello di Bologna, sostenendo che quest’ultima non avesse adeguatamente valutato il mutamento reddituale dell'onerato del contributo. Nella fattispecie, il padre aveva volontariamente effettuato il passaggio da socio a dipendente della ditta per la quale lavorava, accettando la diminuzione delle sue entrate mensili in cambio di maggiori garanzie di stabilità. Da qui era nata la sua richiesta di diminuzione del contributo al mantenimento. In seguito, il padre aveva ricorso in Cassazione contro la sentenza d’appello che aveva invece confermato le decisioni originarie del Tribunale di Piacenza che, oltre all'affidamento condiviso della figlia minore con residenza presso la madre, aveva stabilito l'obbligo di versare un assegno mensile di 600 euro per il mantenimento.
Secondo il ricorrente in Cassazione, la Corte d’Appello avrebbe dovuto tenere comunque conto del fatto che la sua situazione economica era peggiorata, e quindi l'assegno non rispettava più il principio di proporzionalità, indipendentemente dalle cause della sopravvenuta sproporzione. Il giudice dell’impugnazione aveva invece rigettato la domanda, in quanto il peggioramento della situazione economica era dipeso da una scelta volontaria, e non da un “giustificato motivo oggettivo”.
In questi casi, è ancora frequente che la giurisprudenza non riconosca la riduzione dei contributi di mantenimento, sospettando che la scelta unilaterale sia stata di comodo, o comunque dando la priorità alle esigenze del figlio. Per questo il principio espresso dalla sentenza in esame è importante: in situazioni analoghe, come, ad esempio, quelle in cui il genitore obbligato ha formato e preso a carico una nuova famiglia – e di conseguenza ha visto diminuire le proprie potenzialità economiche – la richiesta di diminuzione è stata rigettata, in virtù del fatto che le scelte individuali non devono interferire con il tenore di vita che va riconosciuto alla prole.
Al contrario, la Suprema Corte ha ritenuto che la Corte d'Appello di Bologna, nella specie, non avesse adeguatamente valutato in comparazione le risorse economiche di entrambi i genitori, non considerando il mutamento della situazione economica dell’uomo. È stato infatti evidenziato che ciò che rileva ai fini della diminuzione del contributo non è la volontarietà delle scelte economiche, quanto piuttosto la loro idoneità causale a far decrescere le entrate dell’obbligato. La decisione di confermare l'assegno di mantenimento stabilita in prime cure è stata pertanto valutata come non proporzionata rispetto ai redditi attuali delle parti, e di conseguenza il caso è stato rimesso ai giudici di merito per la dovuta riduzione dell’assegno.
Il principio espresso rafforza l'obbligo per il giudice di considerare le reali e attuali condizioni economiche di entrambi i genitori, senza cristallizzare situazioni ormai superate dalla realtà, indipendentemente dalle ragioni.
La decisione costituisce un importante richiamo a una valutazione dinamica e concreta degli obblighi di mantenimento, ancorata non solo ai documenti reddituali, ma anche al contesto familiare e lavorativo mutato nel tempo. È pertanto sempre errata una decisione che confermi un assegno di mantenimento stabilito in passato, senza una verifica attuale e comparativa delle condizioni economiche delle parti.
Va d’altra parte notato che, in situazioni nelle quali la sopravvenuta sproporzione dipende non da una diminuzione, ma da un incremento dei redditi di uno dei genitori, la giurisprudenza al contrario segue ancora il principio espresso da Cass. n.18538 del 2013, secondo cui ” la determinazione del contributo… non si fonda su di una rigida comparazione della situazione patrimoniale di ciascun obbligato, a differenza di quanto avviene nella determinazione dell’assegno spettante al coniuge separato o divorziato, e pertanto le maggiori potenzialità economiche del genitore affidatario concorrono a garantire al minore un migliore soddisfacimento delle sue esigenze di vita, ma non comportano una proporzionale diminuzione del contributo posto a carico dell’altro genitore”.
La stessa cosa, in principio, deve ritenersi anche nei casi in cui a migliorare sensibilmente le proprie condizioni economiche sia il genitore non convivente con figlio. In altri termini, se la sproporzione deriva dal fatto che uno dei due genitori è andato a stare meglio, e non peggio, questo non legittima la riduzione dei contributi a carico dell’altro, perché va tenuto conto prioritariamente delle esigenze del figlio a vedere a sua volta migliorate le proprie condizioni economiche e il tenore di vita.
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