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Comodato della casa dei nonni e assegnazione della abitazione familiare: il coniuge separato conserva il "diritto al reingresso"

  • Immagine del redattore: Studio Legale Fiorin
    Studio Legale Fiorin
  • 1 giorno fa
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 16 minuti fa

Il comodato cosiddetto “familiare”, con il quale l’abitazione di proprietà degli ascendenti di uno solo dei coniugi viene messa a disposizione della famiglia di quest’ultimo, non si scioglie con la separazione, né con il divorzio.

In questi casi, l’interesse dei proprietari alla restituzione del bene non prevale di per sé sull’assegnazione della casa familiare in favore della prole non autosufficiente, che abbia diritto a vivere in essa assieme al coniuge non proprietario (il quale, nei fatti, è quasi sempre la ex nuora).


Il principio è stato ribadito dalla Cassazione, con l’Ordinanza n. 17095, pubblicata il 25 giugno 2025, in una situazione nella quale, peraltro, la madre non era stata automaticamente dichiarata assegnataria della casa familiare, di proprietà della nonna paterna.

Nel caso di specie, infatti, il giudice della separazione aveva stabilito a carico del padre, oltre al consueto contributo per il mantenimento della figlia, anche un separato contributo per il canone di locazione di un diverso immobile che - se non versato - sarebbe stato sostituito con il “diritto di reingresso” di madre e figlia nella casa familiare.

Una volta sopravvenuto il divorzio, la nonna paterna era intervenuta nell’impugnazione della sentenza, affinché fosse dichiarato il venir meno dell’assegnazione della casa di sua proprietà. Ciò in quanto, a suo dire, il comodato nell’interesse della famiglia si sarebbe estinto a seguito della contestuale rinuncia della madre all’assegnazione della casa, e della sua uscita da essa.


La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato l’argomento secondo il quale la comodataria della casa familiare, una volta trasferitasi a vivere altrove, avrebbe perduto il diritto ad abitarvi. Nella specie, infatti, secondo la sentenza in esame il comodato sarebbe stato da considerarsi risolvibile unicamente ai sensi dell’art. 1809 cod. civ., nel caso non allegato di urgente e imprevisto bisogno del comodante. Solamente in questa ipotesi sarebbe stato possibile esigere la restituzione del bene.


Altrimenti, il comodato – sia pure pattuito senza determinazione di durata – sarebbe stato da considerarsi in essere fino a quando non sarebbe spirato il termine “risultante dall'uso a cui la cosa doveva essere destinata” ex art. 1810 cod. civ. Esso, per l'appunto, non sarebbe venuto meno, a causa della ipotesi di reingresso pattuita in sede di separazione. Questo, a maggior ragione, in quanto la figlia minore della coppia, interpellata in giudizio, aveva espresso il desiderio di tornare a vivere nella casa dei nonni, dove aveva vissuto dalla nascita per tredici anni.


Il fatto che, secondo gli accordi presi in sede di separazione, i genitori avessero stabilito che la figlia si sarebbe trasferita in un altro appartamento assieme alla madre, conservando soltanto un diritto obbligatorio a rientrarvi, non è stato considerato di per sé idonea causa di cessazione del comodato. Ha influito sulla decisione anche il fatto che, effettivamente, il padre aveva cessato di finanziare la locazione dell’appartamento nel quale la madre si era trasferita con la figlia, al punto di provocare lo sfratto di morosità di entrambe.

L'Ordinanza in esame, ad ogni modo, conferma come il comodato familiare, che si verifica nei frequenti casi in cui i genitori mettono a disposizione del figlio una casa in cui vivere con la famiglia, il più delle volte non è idoneo a tutelare i proprietari, per il caso in cui, una volta sopravvenuti i nipoti, il figlio venga di fatto espulso dalla casa per effetto della separazione.

In queste situazioni, infatti, per riottenere il bene è necessario non soltanto che i nonni dimostrino di avere necessità di conseguire la restituzione della casa, ma anche che sia sorto un bisogno imprevisto, che, come tale, deve essere sopravvenuto rispetto al momento della instaurazione del comodato, e altresì deve essere urgente.


Può aiutare il principio stabilito da un'altra decisione della Suprema Corte (Cass. 17332/2018), secondo il quale il proprietario comodante può ottenere la restituzione del bene sulla base del bisogno urgente, anche nel semplice caso in cui la sua situazione economica vada peggiorando; infatti, in tale circostanza, egli può essere considerato costretto alla vendita o a una redditizia locazione del bene.


Tuttavia, la decisione in esame dimostra la profonda ipocrisia dell’istituto dell’assegnazione della casa familiare, che – pur sorgendo solo in presenza e nell’esclusivo interesse dei figli a rimanere nella casa dove sono nati e cresciuti – può tranquillamente venire meno a discrezione del genitore collocatario, laddove lo stesso si accordi con l’altro per trasferirsi a vivere altrove, indipendentemente dalle preferenze dei figli.

Quello che il legislatore aveva previsto a tutela dei figli minori, in una situazione sociale nella quale ancora si poteva presumere che separazione e divorzio fossero casi eccezionali, è in realtà diventato uno strumento di tutela non tanto della prole, quanto delle esigenze abitative del coniuge presuntivamente più debole, in nome del quale si può tranquillamente passare sopra al diritto di proprietà.


Non stupisce che la Corte di Cassazione, che di recente ha dimostrato di avere a cuore gli interessi degli occupanti abusivi degli immobili piuttosto che quelli dei proprietari, non cerchi più di tanto di mitigare gli effetti distorsivi di un istituto come quello dell’assegnazione.

Questo benché esso abbia fatto il suo tempo, e sia una delle ragioni che stanno alla base della crescente crisi del matrimonio e della natalità. Non resta quindi, ai proprietari di immobili che vorrebbero destinare una casa alla futura famiglia del figlio, che proteggere il patrimonio precostituendosi diverse forme di tutela.

 
 
 

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