Il mestiere di genitore: la distanza e la conflittualità di per sé non bastano per disporre l'affidamento superesclusivo
- Studio Legale Fiorin

- 10 set
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Aggiornamento: 11 set
La bigenitorialità è un principio fondamentale, che può essere contraddetto solo in presenza di ragioni gravi e documentate. Non bastano, per disporre l’affidamento esclusivo della prole a un solo genitore, valutazioni psicologiche relative al carattere e alla scarsa propensione personale dell’altro verso il “mestiere di genitore”. Dunque, la condivisione dell’affidamento non può essere negata nemmeno nel caso in cui uno dei due genitori mostri poco impegno nell’incontrare la propria figlia minore. In questi casi, bisogna invece indagare con rigore le ragioni dalle quali è stato dettato tale comportamento.
La Cassazione ha affermato questo principio nella Sentenza n. 24876, pubblicata il 9 settembre 2025. È una presa di posizione importante, tanto più che, nel caso di specie che ha originato la sentenza, il padre poteva incontrare la figlia solo con la mediazione e la presenza dei servizi sociali, senza che risultassero a suo carico gravi precedenti di violenza.
La decisione in esame ha messo così indirettamente in luce la criticità del sistema dei cosiddetti “incontri protetti”, che in troppi casi – come dedotto dallo stesso genitore reclamante – si traduce di per sé in una sentenza di condanna a carico di chi vi si vede costretto, benché non risultino serie motivazioni per limitare la sua frequentazione della prole.
La lettura della sentenza in esame lascia intuire che, nella fattispecie, gli accertamenti compiuti dai giudici di merito erano stati contraddetti dalle loro stesse decisioni, e non si vedevano i gravi motivi che avrebbero dovuto giustificare l’affidamento superesclusivo che era stato stabilito in favore della madre.
Si trattava infatti di un padre che vive negli Stati Uniti, peraltro in condizioni di relativa agiatezza economica, visto che era stato stabilito dal Tribunale un assegno di mantenimento pari a ben 6.500 euro mensili, poi ridotti a 4.300 euro mensili dalla Corte d’Appello.
La figlia, a quanto pare, aveva vissuto negli Stati Uniti negli anni della prima infanzia, e dopo la separazione dei genitori si era trasferita in Italia con la madre, la quale aveva continuativamente posto in essere condotte tese a impedire i rapporti del padre con la figlia.
Nei giudizi di merito, tuttavia, il padre era stato giudicato “scarsamente interessato a incontrare la figlia”, e secondo il Consulente d’Ufficio si era mostrato bisognoso di sostegno psicologico (qualunque cosa questo voglia dire), in quanto il suo atteggiamento sarebbe stato oscillante “tra fragilità e potenza”.
La madre, d’altro canto, era stata anch’essa giudicata dal CTU "responsabile di atteggiamenti che hanno violato il diritto alla bigenitorialità" della figlia. Secondo il CTU del giudizio di merito, la madre avrebbe nondimeno mostrato nei confronti della minore “uno stile relazionale caratterizzato da un vincolo e una dipendenza molto forte su base narcisistica”.
A detta della madre, l’altro genitore avrebbe avuto un ruolo esclusivamente biologico, che tale avrebbe dovuto rimanere, e non vi era alcuna disponibilità da parte sua a favorire i rapporti del padre con la figlia. Peraltro, dalla sentenza di Cassazione in esame si evince che la madre stessa, una volta tornata in Italia, abbia formato una nuova famiglia con un nuovo compagno.
Nonostante quanto sopra, dai giudici di merito era stato disposto l’affidamento superesclusivo, e il padre era stato costretto a vedere la figlia in un regime di incontri protetti, senza poter partecipare ad alcuna decisione sulla sua educazione.
La Cassazione, quindi, opportunamente ribadito che nel nostro ordinamento l'affidamento condiviso è una regola fondamentale, e quindi è necessario per l’esclusione di un genitore dall'affidamento che la decisione in tale senso venga "riempita di contenuti, che dimostrino la contrarietà all'interesse del minore al regime di condivisione".
Secondo la Suprema Corte la conflittualità tra i genitori di per sé non è requisito sufficiente per derogare alla condivisione dell'affidamento. Tanto più non lo è – anche in una situazione di scarsa presenza o disponibilità di un genitore – la mera necessità di decidere rapidamente sulle questioni ordinarie relative alla vita del figlio. L’ostacolo costituito dalla conflittualità tra i genitori non può mai essere presunto, ma deve sempre essere “oggetto di accertamento, sia in relazione alle cause, sia alle conseguenze non solo immediate sullo sviluppo psichico e minore”.
Le corti territoriali avevano invece operato un capovolgimento logico, che secondo la Cassazione ha violato il paradigma normativo di riferimento. Infatti, nella sentenza della Corte d'Appello si diceva che l'affidamento condiviso sarebbe invece stato una sorta di sanzione per madre, e il fatto stesso che il padre rifiutasse ogni rapporto con quest’ultima escludeva che avrebbe potuto essere lui il genitore che meglio avrebbe assicurato il requisito della bigenitorialità.
Ma in realtà, secondo la Suprema Corte, quest’ultimo ragionamento è opposto a quanto richiesto dalla legge, perché Il giudice non deve valutare quale sia il genitore più adatto nell'esercizio della bigenitorialità, bensì se esistano situazioni gravi e oggettive, da accertare rigorosamente, per le quali la bigenitorialità stessa sarebbe una scelta contraria all'interesse del minore.
In definitiva, quindi, l'affidamento esclusivo e tanto più quello cosiddetto superesclusivo, che impedisce al genitore non affidatario anche la partecipazione alle decisioni di maggiore interesse riguardanti il minore, richiede, in fase di accertamento, “un quid pluris costituito dalla prova di condotte gravemente pregiudizievoli ascrivibili al genitore non affidatario, causalmente rilevanti in via esclusiva o prevalente ai fini della limitazione della bigenitorialità”.



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