Nel diritto di famiglia i "fatti sopravvenuti", per quanto possano essere inequivocabili, non sono di per sé sufficienti per fare venire meno le disposizioni del giudice della separazione o del divorzio, riguardo ai contributi economici stabiliti nell'interesse della prole o del coniuge più debole. Il principio è inderogabile, nonostante la confermata vigenza in questa materia del criterio del rebus sic stantibus. Quindi, le vicende della vita - anche se sancite in nuovi provvedimenti giudiziari - non modificano automaticamente i presupposti stabiliti dal giudice della separazione o divorzio in una fase precedente della crisi familiare, rimanendo necessario il ricorso al giudice competente per l'accertamento della nuova situazione e la conseguente modifica delle condizioni.
La Cassazione ha confermato il suddetto principio in un caso in cui, per vicende sopravvenute, era per l'appunto completamente venuto meno il presupposto di fatto del contributo di mantenimento. Quest'ultimo infatti era correlato al collocamento del figlio presso la madre, che una successiva pronuncia del tribunale per i minorenni aveva invertito stabilendo che lo stesso dovesse trasferirsi presso la residenza paterna.
Così, è stato stabilito che anche in questi casi, per liberarsi dal correlativo onere, il coniuge gravato non abbia il diritto di fare valere di per sé i mutati presupposti di fatto, nonostante le conseguenze automatiche che gli stessi sembrerebbero comportare, ma debba comunque ricorrere all'articolo 710 c.p.c. - o, come nel caso di specie, all'art. 9 della legge sul divorzio - per vedere modificata l'originaria statuizione del giudice competente.
Nella vicenda che ha dato luogo alla sentenza di Cassazione n. 17689, depositata il 2 luglio 2019, il ricorrente era un padre separato, inizialmente onerato di un contributo di 650 euro mensili per il mantenimento del figlio collocato presso la madre. In seguito - a causa delle vicende altamente conflittuali che avevano contrapposto i genitori, non solo tra di loro ma anche, come troppo spesso accade, nei confronti dell'autorità statale - il Tribunale per i Minorenni di Venezia, su ricorso del pubblico ministero, aveva tuttavia sospeso la responsabilità genitoriale della madre, affidando il figlio al Comune e collocandolo presso il padre.
A questo punto, il padre stesso aveva spontaneamente cessato di corrispondere il contributo di mantenimento, ritenendo - non senza qualche evidenza dalla sua parte - che fosse cessato il presupposto indefettibile dello stesso, e quindi la statuizione originaria del Tribunale fosse automaticamente da ritenersi caducata.
La moglie, tuttavia, aveva continuato a pretendere detto contributo, arrivando a notificare il precetto e provocando così l'opposizione all'esecuzione, nelle more della quale era pure intervenuto un ulteriore provvedimento del Tribunale dei Minorenni che sospendeva la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, sancendo nel contempo la persistente inottemperanza della madre rispetto al dovere di contribuire a sua volta al mantenimento del figlio.
Ciò nonostante, l'opposizione a precetto del padre è stata respinta dal Tribunale di Treviso, sulla base della considerazione che la sopravvenuta collocazione del minore presso il padre non poteva considerarsi un fatto concludente sufficiente per privare il titolo esecutivo di efficacia e validità, gravando sul debitore - per liberarsi dell'onere - di attivare il procedimento previsto dall'articolo 9 della legge sul divorzio.
Il Tribunale ha altresì escluso il prospettato abuso del processo da parte della madre, così come la sussistenza dei presupposti della exceptio doli generalis proposta dalla difesa dell'opponente. La Corte d'Appello di Venezia ha in seguito confermato che "le statuizioni patrimoniali conseguenti alla sentenza di cessazione degli effetti civili... per quanto munite di validità rebus sic stantibus... non sono inficiate di per sé dal venir meno dei presupposti che giustificavano il precedente provvedimento, dovendo invece le eventuali conseguenti modifiche esser sempre disposte dal tribunale competente ... ed acquistando efficacia solo dal momento della domanda".
L'abuso del processo da parte della madre creditrice è stato escluso perché da parte sua vi sarebbe stato "un uso corretto degli strumenti apprestati dall'ordinamento per l'attuazione del credito fondato su sentenza integrante titolo esecutivo". Vale a dire che nella specie ricorreva "la non configurabilità di un abuso fondato sulla prospettazione dell'unilaterale valutazione del debitore di insussistenza del credito", in quanto la stessa sarebbe addirittura stata "ad eversivo detrimento dei principi della certezza del diritto fondati sull'immodificabilità delle decisioni giudiziarie al di fuori degli strumenti a ciò deputati".
Questa perentoria decisione della Corte d'Appello è stata oggetto di ricorso e controricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha così confermato il principio, stabilendo che rispetto ai provvedimenti del giudice della separazione o del divorzio "in sede di opposizione a precetto si possono far valere soltanto questioni relative alla validità ed efficacia del titolo e non anche fatti sopravvenuti, da farsi valere con il procedimento di modifica delle condizioni di separazione di cui all'articolo 710 c.p.c. o del divorzio di cui all'articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898".
Sul punto sono state citate precedenti ordinanze della Suprema Corte, e quindi le conclusioni raggiunte dalla Corte d'Appello di Venezia sono state integralmente confermate. La Cassazione ha argomentato il rigetto del ricorso dichiarando che "il titolo esecutivo in materia di famiglia è sì assistito da definitività equiparabile al giudicato, ma si tratta di un giudicato del tutto particolare altrimenti detto rebus sic stantibus, riguardo al quale i fatti sopravvenuti possono rilevare, ma soltanto attraverso un procedimento ad hoc", quale uno dei due sopra nominati. Questa peculiarità del giudicato in materia di statuizioni economiche conseguenti a pronunce di separazione o divorzio, secondo la Cassazione, fonda "l'insopprimibile esigenza di un previo formale intervento sul titolo preesistente, devoluto al giudice specializzato" e pertanto vale pure "a escludere la rilevanza diretta od immediata in sede di opposizione all'esecuzione dei fatti riservati alla cognizione di quel giudice specializzato, nel superiore e pubblicistico interesse alla migliore composizione possibile delle esigenze dei componenti della famiglia in crisi o disciolta".
La soluzione sembra conforme ai principi generali dell'ordinamento, anche se grava i coniugi o i genitori separati che molto spesso si trovano ad avere a che fare con statuizioni economiche che vengono superate dalle mutate circostanze, a dover sempre ricorrere al giudice per ottenere la modifica, onde non rischiare di incorrere nei rigori della legge qualora la controparte non si arrenda all'evidenza della mutata situazione, per quanto la stessa abbia privato di ogni fondamento la pronuncia precedente del giudice.
Resta da vedere se l'automatica caducazione possa ritenersi insussistente anche nei casi in cui non si arriva alla opposizione al precetto, in quanto i coniugi si adattano alla nuova situazione di fatto e tacitamente accettano il venir meno del presupposto dei contributi di mantenimento, non agendo né per l'esecuzione coattiva né per la formale modifica. In simili situazioni, il coniuge conserva il diritto ad azionare il contributo fino al termine di prescrizione, e magari di denunciare l'altro coniuge ai sensi del nuovo art. 570 bis c.p., oppure la sua protratta acquiescenza può in qualche modo valere come rinuncia implicita? La sentenza in esame sembra propendere per la soluzione negativa, stabilendo in motivazione che le competenze esclusive del giudice della separazione o del divorzio si basino su principi di "ordine pubblico", che di per sé dovrebbero comportare la nullità della rinuncia - esplicita o implicita - alle conseguenze economiche e patrimoniali delle sue statuizioni. Esistono tuttavia, fuori dal caso della opposizione a precetto, pronunce contrarie che salvaguardano l'autonomia negoziale dei coniugi. Quindi, anche nella prospettiva di una riforma del settore che valorizzi detta autonomia, è probabile che la questione non possa ritenersi ancora chiusa.
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