Profili interessanti, in materia condominiale, nell'ordinanza numero 12803/2019 della Cassazione, pubblicata lo scorso 14 maggio (credits to Quotidiano del Diritto per la copia non ufficiale). La Suprema Corte ha infatti precisato come ogni singolo condomino, sia pure agendo nel suo esclusivo interesse, possa compiere atti giuridici aventi effetto dispositivo, o anche risolutivo, rispetto a un contratto - nella specie d'appalto - che era stato concluso dall'amministratore a nome dell'intero condominio.
Dunque, riguardo ai lavori commissionati dal amministratore condominiale, con o senza la autorizzazione necessaria dell'assemblea, ogni singolo condomino ha il diritto suo proprio di attivarsi per chiedere l’eliminazione dei vizi, o la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni, indipendentemente dal fatto che stia agendo anche o soltanto nel proprio interesse, e non solo in quello dell’intero condominio. Nella fattispecie, tra l’altro, i condomini che avevano citato l’impresa appaltatrice risultavano essere stati dissenzienti, in assemblea, rispetto alla delibera di affidamento dei lavori alla stessa. Ma questo - secondo l’ordinanza in esame - non causava problemi di legittimazione, e nemmeno il fatto che i predetti condomini lamentassero l’esecuzione non a regola d’arte dei lavori su terrazze che erano di proprietà loro esclusiva e non comune.
Per sfuggire le possibili perplessità, l’ordinanza 12803 ha infatti osservato come “la qualità di condomino è inscindibilmente legata a quella di proprietario di parti esclusive dell'edificio”. Non nel senso, a ben vedere, che non si possa dare la prima senza la seconda, perché non c’è un impedimento assoluto di legge rispetto al fatto che si possa essere esclusivamente comproprietari di parti comuni - come ad esempio di un'area cortiliva o di un terrazzo - per il fatto di averle acquistate a titolo derivativo, e non assieme all'acquisto di parti esclusive (come normalmente avviene). Tuttavia, laddove la qualità di condomino sorga, come di consueto, per il fatto di avere acquisito la proprietà esclusiva di unità immobiliari, con tutte le connesse obbligazioni che nascono ex lege, allora non vi è bisogno di legittimarsi separatamente come condomino se si agisce a tutela della propria proprietà esclusiva, che viene comunque interessata da rapporti giuridici instaurati dal condominio, con o senza la propria positiva partecipazione all'assemblea deliberante.
Non è dunque stata giudicata rilevante, ai fini della legittimazione ad agire, il fatto che i proprietari esclusivi agissero a tutela dei loro interessi personali nei confronti della ditta appaltatrice dei lavori condominiali. Come nella generalità dei casi, secondo la Corte, non sarebbe infatti nemmeno sussistita in capo agli attori la qualità di condomino, cioè di comproprietario di parti comuni dell'edificio - con la legittimazione che è comunemente riconosciuta da parte della giurisprudenza come discendente da tale qualità - senza il presupposto della proprietà esclusiva di beni collocati nel condominio che, nella fattispecie, erano stati interessati dalle modalità di esecuzione dell’appalto.
Nello specifico, si trattava di lavori di rifacimento di terrazze di proprietà esclusiva, che erano stati lamentati come difettosi dai rispettivi proprietari, attori in giudizio, e come tali erano stati accertati dalla CTU. A fronte del ricorso in Cassazione della ditta appaltatrice, che lamentava la carenza di interesse ad agire da parte avversaria, è stato così ribadito che i proprietari di tali terrazze, che avevano chiesto l'eliminazione dei vizi nonché il risarcimento del danno nei confronti dell'impresa stessa, erano pienamente legittimati a farlo anche solo in base alla loro qualità di proprietari esclusivi (dalla quale discendeva anche quella di condomini).
Se ne può quindi dedurre che esista anche in questi casi una sorta di diritto di sostituirsi all'amministratore nella tutela dell'interesse comune, come a esempio esercitando in proprio la denuncia dei vizi richiesta a pena di decadenza ex art. 1667 cod. civ., o anche - in ipotesi - sostituendosi a lui nella gestione della sicurezza del contratto di appalto, ad esempio verificando che l’impresa appaltatrice sia iscritta alla Camera di Commercio, e dotata di Durc nonché di idoneità tecnica e professionale (v. articolo 90 del D.Lgs. 81/2008). Tutto questo senza pregiudizio del fatto che le conseguenze negative del mancato assolvimento degli oneri connessi alla stipula dell'appalto ricadrebbero comunque sull'amministratore.
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