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  • Immagine del redattoreStudio Legale Fiorin

Assegni di mantenimento, il tenore di vita non più rilevante per la moglie lo è ancora per i figli.

Il criterio del tenore di vita, non più applicabile riguardo alla determinazione dell'assegno di divorzio, continua a figurare a pieno titolo tra i criteri valutativi degli oneri di mantenimento in favore della prole. Il contributo relativo a quest'ultima, tra l'altro, può essere determinato anche in via presuntiva e con criteri equitativi, e il giudice a tale scopo deve tenere conto non solo delle esigenze del figlio ma anche del tenore di vita goduto dalla famiglia non separata, in quanto il riferimento normativo è quello dell’art. 337 ter del codice civile.

Quanto sopra è stato stabilito dalla Ordinanza della Corte di Cassazione numero 15774, depositata il 23 luglio 2020 (credits to Quotidiano del Diritto per il testo), che ha sviluppato un ragionamento coerente e già abbozzato in altre decisioni precedenti. La sentenza impugnata della Corte d'Appello di Milano è stata parzialmente cassata con rinvio, in quanto non aveva correttamente applicato i nuovi criteri interpretativi riguardo al solo assegno divorzile.

Nel caso di specie, il ricorrente si doleva del fatto che la sua richiesta di riduzione o esclusione dell'assegno in favore della ormai ex moglie fosse stata respinta in quanto risultava essere stata proposta soltanto in sede di precisazione delle conclusioni (forse a seguito, intuiamo noi, dei mutati criteri giurisprudenziali). Nello stesso tempo, il padre lamentava che le decisioni di merito avessero messo a suo carico un eccessivamente oneroso assegno di mantenimento per il figlio minorenne. Secondo il ricorrente, infatti, l’importo di detto assegno non sarebbe stato giustificato dal tenore di vita della famiglia non separata, e comunque non sarebbe stato parametrato correttamente sulle esigenze del figlio stesso. Risultava infatti che, rispetto a un assegno divorzile di 1300 euro mensili per la moglie, alla data della decisione di appello l'assegno per il figlio era stato adeguato a ben 3000 euro, rispetto ai 2500 euro che erano stati posti a carico del padre fin dall'epoca della separazione, in cui il minore aveva solo 7 anni.

La Corte di Cassazione, nella sentenza in esame, non ha accolto l'eccezione relativa alla inconferenza della pretesa tardività della richiesta di riduzione dell'assegno, ma ha correttamente applicato i nuovi parametri sulla “funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa dell'assegno di divorzio”, per cui secondo il nuovo orientamento deve essere accertata la mancanza di risorse proprie dell'ex coniuge, nonché l'impossibilità di procurarsele per ragioni oggettive, “in una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, e in considerazione del contributo fornito dal richiedente l'assegno alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio”. La funzione equilibratrice dell'assegno divorzile, secondo la Suprema Corte, tuttora esiste ma “non è finalizzata alla ricostruzione del tenore di vita endoconiugale, bensì al riconoscimento del ruolo del contributo del coniuge più debole alla formazione del patrimonio”.

Nel caso di specie, stando alla sentenza in esame, la Corte d'Appello non si era attenuta a questi principi, perché aveva espressamente parametrato l’assegno di divorzio all’esigenza del "mantenimento dell’elevato tenore di vita matrimoniale", e inoltre non aveva tenuto conto del fatto che la donna comunque svolgesse un'attività lavorativa stabile, in qualità di insegnante. La Corte territoriale aveva altresì considerato che la moglie in questione avrebbe sacrificato la possibilità di lavorare come architetto per dedicarsi esclusivamente al figlio, ma secondo la Cassazione non aveva precisato né la durata del periodo né se detto sacrificio fosse stato definitivo e giustificatamente irreversibile. Nello stesso tempo, la Corte d'Appello non aveva preso in considerazione - come invece avrebbe dovuto - né la durata del matrimonio né l'eventuale contributo della moglie alla formazione del patrimonio familiare.

A questo riguardo, nel cassare la sentenza, la Cassazione ha giustamente aggiunto che nel giudizio di rinvio non avrebbe dovuto tenersi conto, a differenza di quanto risultava essere stato operato dalle precedenti corti di merito, delle rilevanti somme in denaro che il marito e padre aveva ottenuto dalla propria famiglia di origine. Infatti, come già osservato in precedenti decisioni, le risorse familiari della parte onerata devono essere tenute fuori dai criteri di valutazione dell’assegno di divorzio, in quanto non previste dall'articolo 5 della relativa legge.

Tuttavia, l'aspetto più interessante della sentenza è che i nuovi criteri interpretativi sulla determinazione dell'assegno divorzile sono stati ritenuti non applicabili riguardo al ben più oneroso contributo di mantenimento che la corte territoriale aveva stabilito a carico del facoltoso genitore in favore dell'unico figlio, adeguandolo alla accresciuta età dello stesso. Infatti, la Cassazione ha precisato che quando si tratta di assegni per i figli devono essere applicati i princìpi desumibili dall’articolo 337 ter, quarto comma, del codice civile, secondo i quali anche dopo la separazione sussiste l'obbligo dei genitori di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al reddito, tenendo conto - oltre che delle esigenze del figlio - anche del tenore di vita goduto dalla famiglia durante la convivenza e delle risorse economiche dei genitori, così come dei tempi di permanenza presso ciascuno di essi. Come già accennato, la valutazione sulle accresciute esigenze del figlio può effettuarsi anche in via presuntiva, mentre l'apprezzamento di fatto del giudice di merito risulta incensurabile in sede di legittimità se idoneamente motivato.

Niente da fare quindi per il padre riguardo alle notevoli somme dovute per il figlio ormai sedicenne, anche se nel giudizio di rinvio per lui sarà possibile argomentare in punto di fatto riguardo alla necessità di ridurre o eliminare l'assegno di divorzio. La Cassazione ha infatti precisato anche che, secondo la giurisprudenza più recente (v. Cass. 11178/2019), se in materia di assegno di divorzio il giudice del rinvio è chiamato a reimpostare la valutazione dei fatti sulla base dei nuovi criteri interpretativi, allora le parti devono coerentemente essere rimesse in termini per dispiegare effettivamente il proprio diritto di difesa, esercitando il potere di allegazione e di prova conseguente alle mutate esigenze istruttorie.




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