Interessante decisione della Cassazione in materia di maltrattamenti in famiglia. Mediante la sentenza 13 aprile 2022, n. 14522, la VI Sezione Penale della Suprema Corte ha ribadito, sia pure in sede preliminare sulla inammissibilità del ricorso, che la violazione dell'articolo 572 cod pen. può essere integrata anche soltanto “mediante la sostanziale privazione della funzione genitoriale”.
Come è noto, il suddetto articolo punisce chiunque “maltratta una persona della famiglia o comunque convivente”, e quindi si è trattato di stabilire quando possa ritenersi integrata la condotta del maltrattamento, e in particolare se questo debba avere necessariamente natura materiale e procurare danni fisici, ovvero possa avvenire anche soltanto mediante vessazioni psicologiche o altre forme di abuso. Inoltre, ma su questo la giurisprudenza è unanime in senso positivo, si è dovuto implicitamente decidere se il reato scatti anche in situazioni di separazione o divorzio, laddove vi sia un rapporto familiare di mero fatto, in assenza o dopo la cessazione di una stabile convivenza.
Nella fattispecie, una decisione della Corte di Appello di Catanzaro, conforme a quella del tribunale, aveva condannato ai sensi dell'art. 572 cod pen. una madre separata, per avere maltrattato sia il coniuge non più convivente che il figlio minore.
Risultava dal ricorso per Cassazione che erano stati accertati singoli episodi rientranti nella conflittualità tra le parti, sfociati in un singolo caso di condanna per inosservanza del provvedimento giudiziale relativo alla gestione del figlio minore. Mai, tuttavia, erano risultate situazioni di consumata violenza fisica o morale.
A questo proposito, la decisione in esame ha ritenuto che i motivi di ricorso fossero, in modo inammissibile, rivolti a far valere delle ragioni diverse da quelle previste dalla legge, e comunque infondate nel merito. Appunto per questo, la VI Sezione Penale ha deciso per la inammissibilità del ricorso.
In motivazione, si è precisato che il fatto stesso che l'imputata fosse arrivata a non portare più il minore a scuola per impedire che incontrasse il padre, al quale erano state rivolte reiterate minacce in tal senso anche in presenza di altri, integrava una condotta sufficiente a fare ritenere ampiamente motivata la condanna ai sensi dell'art. 572 cod. pen. Tra l’altro, il consultorio familiare, nel corso della vicenda, era arrivato a suggerire l'affidamento esclusivo del bambino al padre, segnalando come gravemente pregiudizievoli per il figlio le condotte della madre.
Quanto sopra è bastato affinché la Suprema Corte potesse ribadire alcuni precedenti di legittimità, secondo i quali “integra il delitto maltrattamenti in famiglia anche la sostanziale privazione della funzione genitoriale del componente della famiglia, realizzata mediante l’avocazione delle scelte economiche, organizzative ed educative relative ai figli minori e lo svilimento, ai loro occhi, della sua figura morale (Cass., Sez. V Pen., n. 21133 del 25 marzo 2019): ciò tanto laddove le condotte persecutorie di un genitore nei confronti dell’altro siano poste in essere alla presenza del figlio, costretto ad assistervi sistematicamente, trattandosi di condotta espressiva di una consapevole indifferenza verso gli elementari bisogni affettivi ed esistenziali del minore e idonea a provocare sentimenti di sofferenza e frustrazione in quest’ultimo (in questo senso, tra le altre, Cass., Sez. V Pen., n. 32368 del 29 marzo 2018).
In definitiva, va ricordato che la fattispecie in esame è quella di un reato abituale proprio, caratterizzato cioè da condotte di per sé lecite, ma che assumono carattere illecito in ragione del loro protrarsi. Le condotte possono essere sia commissive che omissive (nel caso sussistano in capo al soggetto agente dei doveri di protezione), mentre il dolo è generico, e consiste nella semplice coscienza - o inescusabile ignoranza - riguardo all'infliggere una serie di sofferenze alla vittima. Non è pertanto necessario che la reiterata condotta maltrattante sbocchi in un conclamato danneggiamento fisico o morale (come avviene in caso di minacce, pubbliche offese, ecc.), ma è sufficiente che il responsabile cerchi consapevolmente di privare altri componenti della famiglia, anche separata, del naturale rapporto affettivo tra di loro, mediante condotte che possono essere semplicemente evitanti, pretestuose, o esageratamente protettive.
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