Ci sono stati tempi, nemmeno troppo lontani, nei quali il padre conservava almeno un ruolo di garante dell’educazione dei propri figli
Da IlGiornale.it del 13 agosto 2023:
Cosa resta del padre. Una domanda angosciante, che si ripropone a tutti i livelli di discussione pure in questi giorni di vacanze e di chiacchiere sotto l’ombrellone. Sembra infatti che il fascino indiscreto dell’alta borghesia sia tornato a essere occasione di succosi pettegolezzi, che tuttavia non riescono a evitare lo sconcerto dei più sensibili per la decadenza in cui ci siamo ritrovati.
Ha cominciato nei giorni scorsi un attempato banchiere torinese, che come ormai tutti sanno ha pubblicamente scaricato la fidanzata al termine di una sontuosa festa di compleanno. A sorpresa, la stessa si è ritrovata a essere additata come presunta fedifraga (nemmeno tanto presunta, a giudicare dalle sue successive dichiarazioni) nonché arrampicatrice sociale (circostanza anch’essa non troppo smentita dal suo curriculum).
Non se ne era ancora spenta l’eco mediatica, che subito ha fatto seguito il caso tragico di un facoltoso imprenditore lombardo, rimasto sepolto nella sua amata fabbrica di prodotti caseari, sotto migliaia di forme di quel Grana Padano sul quale aveva costruito la sua fortuna. Già le circostanze della sua morte sono risultate un poco grottesche, a causa del contesto. Ma a parte questo, al povero imprenditore non è stata risparmiata la singolare orazione funebre dei due figli. I quali ultimi, senza troppi giri di parole, lo hanno apertamente rimproverato di avere pensato troppo al lavoro e ai soldi, e di averli trascurati negli anni della loro crescita.
Ognuno, da sotto l’ombrellone, avrà commentato questi fatti sulla base dell’esperienza personale. Nei confronti dei propri genitori, per non parlare delle questioni di corna o di matrimoni falliti, le persone acquisiscono dalla vita una propria sensibilità, che inevitabilmente orienta il loro giudizio in modo decisivo. Spesso in maniera fuorviante, rispetto a ciò che richiederebbe un minimo di decenza.
È il frutto velenoso della nostra postmodernità individualista, che a causa della scomparsa dell’autorità del padre – e, se vogliamo, di quella della religione e dello Stato – non aiuta più nessuno ad assumersi fin da piccoli, nei confronti degli altri e della società, le responsabilità uguali per tutti che una volta erano ritenute basilari e inderogabili.
Ci sono stati tempi, nemmeno troppo lontani, nei quali il padre conservava almeno un ruolo di garante dell’educazione dei propri figli. Mentre oggi la sua figura non riesce a sopravvivere con dignità, se non si presta a fare da “mammo” e da collaboratore domestico di una madre in carriera. Sia pure con tutti gli oneri economici del caso, che ai padri attuali non vengono risparmiati, e anzi li mettono in pessima luce se provano a sottrarvisi o anche solo a lamentarsi.
“Ci dispiace che a noi figli tu non abbia dimostrato l’amore attento e affettuoso di altri padri”, hanno dichiarato davanti al feretro paterno i due figli di Giacomo Chiapparini, l’imprenditore caseario rimasto sepolto sotto i suoi prodotti. “Quante volte, papà, abbiamo sperato che tu rallentassi la tua corsa nella vita… capendo cosa c’era di importante oltre alla tua attività”, hanno poi continuato, pur non mancando di lodare qualche virtù collaterale del troppo laborioso genitore.
I giornali hanno saputo cogliere che nel loro discorso c’era qualcosa di stridente, ma senza giudicare nessuno. Invece, da parte dei media e dei soliti social, hanno abbondato i giudizi sferzanti rispetto al comportamento del banchiere Massimo Segre. Quest’ultimo, assieme alle prevedibili reprimende delle femministe, si è visto criticare anche da molti nostalgici dell’antica gentilhommerie, per la sua indubbia mancanza di discrezione.
Anche questo è un segno dei tempi della morte del padre. Quasi tutti, nel secondo caso, abbiamo puntato l’attenzione sulla vendetta per i tradimenti della nuova fidanzata. Senza però considerare abbastanza che l’interessato ha tre figli nati da un precedente matrimonio. I quali, per sua stessa dichiarazione, da tempo lo stavano sconsigliando di sposare la signora così poco elegantemente da lui scaricata. Per non parlare del fatto che quest’ultima ha anche lei una figlia, rispetto alla quale la figura paterna risulta completamente in ombra. Se non altro, pare che dopo la pubblica scenata il facoltoso 64enne torinese abbia riparato a Zanzibar assieme ai tre figli, per una vacanza riparatoria nei loro confronti.
Ora, è fin troppo facile pensare che l’ostilità di questi ultimi derivasse da questioni più patrimoniali che affettive, peraltro non riservate al mondo degli ultraricchi. La fiera opposizione ai secondi matrimoni degli ex capofamiglia capita spesso anche in contesti popolari o piccolo borghesi, per preservare la futura eredità dalle mire della nuova fidanzata – a volte ex badante – dell’anziano genitore. Ma anche in questi casi i soldi non possono spiegare tutto.
Ciò che conta è la perdita di quei punti di riferimento morali rispetto ai quali soltanto il padre sapeva fare da principio normativo, e insieme da garante. Abbiamo giudicato la piazzata del banchiere torinese come il frutto dell’arroganza che proviene dai troppi soldi e dal conseguente potere. Magari con un po’ di quella Schadenfreude (piacere per le disgrazie altrui) che non manca alla gente comune che spesso fatica ad arrivare a fine mese, e tanto meno al popolo dei social.
Tuttavia, parafrasando un altro noto finanziere di inizio XXI secolo, anche lui diventato famoso per la sua scarsa eleganza, è troppo facile fare i gentiluomini con i soldi degli altri. Soprattutto, va detto che il principio di cavalleria per cui si dovrebbe sempre e comunque rispettare la dignità di una signora, anche quando questa si comporta discutibilmente, appartiene ad un mondo perduto nel quale alle donne era garantito un rispetto e una protezione che oggi sono loro le prime ad aver rifiutato. Salvo esigerla di nuovo, quando le circostanze fanno loro comodo (vedi ancora il curriculum professionale della presunta fedifraga, e gli incarichi che sembrano essere stati acquisiti per grazia dell’ex fidanzato).
Quindi, a tacere d’altro, se le donne hanno acquisito il diritto all’infedeltà, chi è oggi che viene maggiormente tradito? Il marito, il padre, o i figli?
Un avvocato familiarista dei nostri giorni, se ha un minimo di sensibilità, non può che piangere per la scomparsa dei cornuti. Non tanto per questioni di cassetta, che di cause pendenti grazie a mariti traditi ce ne sono ancora in abbondanza. Tuttavia, esse non dipendono più dall’onore maschile offeso dalle mogli, bensì – ed è molto peggio – dai figli che questi uomini si sono visti portare via per essere cresciuti dalla sola madre. Alla fine, è sempre sul rapporto tra genitori e figli che si va a parare.
L’esistenza stessa del cornuto, su un piano morale, presupponeva infatti l’antica e perduta funzione sociale del matrimonio, rispetto all’educazione dei figli e alla certezza del loro status. Oggi invece pochi si azzardano a infierire su un marito tradito dalla moglie, perché questo significherebbe pur sempre, in una certa misura, mettere in discussione i diritti sessuali di lei. Sono lontani i tempi in cui un famoso politico romagnolo, che governò l’Italia per un ventennio, ordinava che “nel caso di una donna còlta in flagrante adulterio, si cominciasse con l'arrestare il marito”.
Piuttosto, se fino alla metà del secolo scorso ancora si poteva guardare al cornuto con una certa indulgenza, per amore delle donne, oggi che queste ultime hanno acquisito il sacrosanto diritto di tradire siamo diventati tutti un po’ orfani di un adulterio da perdonare. I grandi autori russi ancora potevano descrivere la figura dell’uomo tradito dalla propria compagna con un misto di tragicità e di comicità: si pensi al Dostoevskij di L’eterno marito, dove Pavel Pavlovic tornava dal passato a rimproverare all’amico libertino che lo fece cornuto quanto in fondo fosse lui a essere sempre stato succube delle donne; ovvero al Gogol’ del racconto pietroburghese di Prospettiva Nevskij, dove lo sfortunato Piskarev, pur di non credere nella corruzione della sua donna ideale preferì immaginarla vittima di qualche inganno dal quale redimerla, e alla fine morì per non dover accettare l’idea di vivere in un mondo che non gli apparteneva, in quanto troppo carico di sofferenza, di inganno, di tradimento.
Più tardi, nel nostro Novecento, le faccende di corna potevano ancora essere raccontate con disincanto (“quanto poco c'è da fidarsi di una donna che si fa cogliere in flagrante fedeltà! Oggi fedele a te, domani a un altro”, opinava Ardengo Soffici). Ma oggi, negli anni venti del Duemila, non ci rimane nemmeno la malinconia di un Vitaliano Brancati, che ancora poteva scrivere quanto gli avesse “giovato, presso le donne, quel vedere un sottinteso materno anche nei loro peccati più sconcertanti, nei loro amori più incomprensibili” che lo portava a “saper perdonare alla loro volubilità...”.
Solo per questi motivi, le donne di oggi non ci hanno guadagnato poi tanto dalla scomparsa dei cornuti. La fredda ma giustificata ironia con la quale la fidanzata del banchiere torinese si è vista “restituire la propria libertà”, ma assieme a essa anche le prevedibili difficoltà che avrà nel gestirla, ne è una paradossale dimostrazione. Di certo, la scomparsa del padre ha penalizzato fortemente anche le donne. Anche se non lo sanno, e se colte in flagranza di infedeltà possono sempre, se attenzionate dai media, salvarsi in corner dando la colpa al risorgente patriarcato.
Sarebbe stato bello, tuttavia, che di fronte alla mancanza di rispetto che i figli di Giacomo Chiapparini hanno manifestato con la loro orazione funebre – molto peggiore, per certi aspetti, alla scenata gossipara del banchiere torinese – ci fosse stato qualcuno ancora in grado di difendere in diretta le ragioni perdute del padre. Magari proprio la madre.
Non sappiamo se, dopo i rimproveri al genitore per non aver saputo essere un “mammo” adeguato, tra i figli del deceduto imprenditore caseario inizieranno questioni più o meno serrate relative all’eredità. In ogni caso, a quel funerale ci sarebbe piaciuto vedere una madre di altri tempi, di quelle che ancora sapevano – per educazione e per istinto – in cosa consistesse la dignità di un padre, provvedere alla difesa immediata delle ragioni del capo famiglia. Non vorremmo mancare di rispetto alla vedova del defunto imprenditore. Eppure, di fronte all’improvviso discorso dei figli, sarebbe stato bello se l’avessimo vista in gramaglie salire immediatamente sul pulpito per assestare un manrovescio ai due rampolli. O meglio ancora, viste le origini contadine della famiglia, se avessimo visto una poderosa massaia lombarda alzarsi dal suo posto per scagliar loro contro un intero inginocchiatoio di quercia. Una simile scena, nella sua ineleganza, avrebbe fatto bene all’animo di tanti superstiti padri, figli e anche madri di famiglia. Anche tra quelli che commentano queste storie con leggerezza sotto l’ombrellone. A troppi di noi, infatti, anche se non ce lo diciamo e non ce ne accorgiamo neppure, non manca mai un costante peso sul cuore, derivante dalla scomparsa di ciò che il padre ha rappresentato per secoli.
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