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  • Immagine del redattoreStudio Legale Fiorin

Bigenitorialità, ribadito principio del rispetto "in ogni caso" della presenza comune dei genitori.

Un buon risultato, per la causa della bigenitorialità, quello derivante dalla ordinanza n. 30191, depositata dalla Corte di Cassazione lo scorso 20 novembre 2019 (credits to Quotidiano del Diritto per il testo). La Suprema Corte ha infatti ribadito che, in tema di affidamento dei figli minori, ogni decisione del giudice di merito debba avvenire “fermo restando in ogni caso il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantire una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi”.

Si tratta di un criterio già consolidato in linea di principio (si veda al proposito Cass. n. 18817 del 23 settembre 2015) ma è importante vederlo ribadito, dal momento che nella prassi è piuttosto frequente che le situazioni concrete esaminate dai giudice di merito finiscano sempre per fare affermare - nella concreta ripartizione dei tempi di permanenza dei figli presso ciascun genitore - un criterio di maternal preference, piuttosto che una piena applicazione del principio di bigenitorialità, specialmente laddove si tratti di minori in età prescolare.

L’ordinanza in esame ha precisato che, nei giudizi sull’affidamento dei figli minori di genitori separati, il giudice debba sempre operare “nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole” un giudizio definito “prognostico”, circa la capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione. A tal fine - continua l’ordinanza - il giudizio deve tenere conto “in base a elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità a un assiduo rapporto”. Occorre inoltre che i giudici di merito tengano conto “della personalità del genitore [futuro collocatario], delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente familiare che è in grado di offrire al minore”.

Nella specie si trattava del secondo ricorso in Cassazione contro un provvedimento del Tribunale dei Minorenni dell’Aquila (il che lascia supporre che si trattasse di genitori non coniugati), che aveva disposto il collocamento della figlia minore in via preferenziale presso il padre, previo affidamento ai servizi sociali del comune di residenza. Dopo un giudizio di rinvio, e un nuovo ricorso per Cassazione, l’ordinanza che si commenta ha confermato l’affidamento al padre. La Suprema Corte ha infatti sostenuto che la Corte d’Appello avesse “correttamente deciso che la collocazione prevalente della minore presso il padre fosse in grado di garantire alla medesima maggiore di stabilità, e darle quel senso di sicurezza e continuità già fortemente minato dalla conflittualità genitoriale”. Sono stati valorizzati come elementi a favore di questa soluzione il fatto che il padre avesse dimostrato - presumibilmente secondo le risultanze delle consulenze d’ufficio - “uno stile educativo più regolativo, mentre la madre era risultata più permissiva e distante emotivamente dalla minore”. È stata valutata anche la presenza costante, all’interno dell’agriturismo gestito dal padre presso il quale anche la bambina viveva, “dei nonni paterni, della zia e dei cugini”.

La decisione è importante per il principio che riafferma, ma non sorprende, dal momento che la stessa Corte ha precisato che le censure proposte dalla difesa della madre “fossero più di merito che non di legittimità, e finalizzate a sollecitare una diversa rilettura del materiale probatorio esaminato dal giudice di merito”. Si può presumere quindi che fossero piuttosto le sentenze dei giudici abruzzesi a essere in qualche modo in controtendenza, o più probabilmente che, nel caso di specie, fossero stati l’atteggiamento della madre e il suo stile di vita, per come sono stati valutati nelle consulenze d’ufficio, a risultare disastrosi.



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