Con una lunga e articolata ordinanza, la numero 9990 del 10 aprile 2019, la Corte di Cassazione è tornata sul problema assai sensibile dell'assegnazione della casa coniugale, offrendo agli interpreti una lunga e articolata ordinanza che riassume lo stato dell'arte nella giurisprudenza di legittimità, riguardo ai non infrequenti casi di conflitto tra le ragioni della proprietà e quelle del detentore che ha come unico titolo per il godimento del bene, per l’appunto, l’assegnazione disposta dal giudice ai sensi dell’attuale art. 337 sexies cod. civ..
Nel merito, si trattava di un caso in cui gli sposi abitavano con la prole nell'immobile di esclusiva proprietà del marito. Quest'ultimo aveva provveduto - presumibilmente all'insaputa della moglie - a vendere la casa a suo padre circa sei mesi prima che il presidente del tribunale disponesse coi provvedimenti provvisori l’assegnazione in favore della moglie stessa. La singolare consecuzione temporale, precisata dalla ordinanza in esame, lascia ampiamente pensare che la vendita sia avvenuta proprio in quanto il figlio aveva preso coscienza dell'irreversibilità della sua crisi coniugale, e del fatto che nel giro di poco tempo sarebbe stato ineluttabilmente estromesso dall'abitazione.
Quando pochi mesi dopo è giunto il provvedimento di assegnazione, la famiglia in via di disgregazione stava continuando a abitare nell'immobile sulla base di un comodato puramente di fatto. In questo caso, la mossa apparentemente disperata di figlio e padre per non farsi espropriare di fatto della casa dalla rispettiva moglie e nuora è stata premiata. Il comodato infatti è stato ritenuto sufficiente per fare prevalere la proprietà del terzo sul diritto di godimento costituito dall'assegnazione.
Ciò in quanto l'ordinanza, ripercorrendo minuziosamente le evoluzioni della giurisprudenza di legittimità al riguardo, ha precisato che il sacrificio della libera disponibilità del bene da parte del proprietario non può estendersi fino a “una funzionalizzazione assoluta del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o post-coniugale”, nel momento in cui il terzo è del tutto estraneo a questo rapporto.
Quindi, nella fattispecie trattata, l'assegnazione può essere opposta al proprietario soltanto nel caso in cui sia stata trascritta anteriormente - il che è ovvio - oppure nel caso che, come precisato dalle Sezioni Unite, “l'assegnatario possa opporre al comodante, che chieda il rilascio dell'immobile, il fatto che tra le parti (cioè almeno uno dei coniugi) sia stato in precedenza costituito un contratto di comodato che abbia contemplato la destinazione del bene quale casa familiare senza altri limiti o pattuizioni” (cfr. Cass. SS.UU. 29 settembre 2014, n. 20448).
Era proprio questo vincolo della destinazione a casa familiare - che l’ordinanza ha poi chiamato “clausola di rispetto” per i casi di comodato o locazione - che nella fattispecie non risultava provato. Infatti, come previsto dalla sentenza delle Sezioni Unite da ultimo citata, “grava sul coniuge separato l'onere di provare anche mediante inferenze probatorie desumibili da ogni utile fatto secondario allegato e dimostrato” che “la pattuizione attributiva del diritto personale di godimento” comprendeva la destinazione a casa familiare, oppure che “dopo l'insorgere della nuova situazione familiare il comodato sia stato confermato e mantenuto per soddisfare gli accresciuti bisogni connessi all'uso familiare e non solo personale”.
Per raggiungere questa prova sarebbe occorsa “una specifica verifica della comune intenzione delle parti, compiuta attraverso una valutazione globale dell'intero contesto nel quali contratto si è perfezionato, della natura dei rapporti tra le parti, degli interessi perseguiti e di ogni altro elemento che potesse fare luce sulle effettive intenzioni di dare e ricevere il bene allo specifico fine della sua destinazione a casa familiare” (cfr. Cass. SS.UU. 21 luglio 2004, n. 13603).
Con una minuziosa ricostruzione schematica dei vari casi possibili, l'ordinanza in esame ha precisato che nel caso di specie “il bilanciamento tra gli opposti interessi di rilevanza costituzionale riferiti rispettivamente al coniuge assegnatario e, dall'altro lato, all'acquirente della proprietà non consentiva di riconoscere un’anticipazione della tutela dell'interesse familiare rispetto alla data di acquisto della proprietà da parte del terzo”.
Pertanto, al fine di evitare la “totale funzionalizzazione della proprietà alle esigenze della famiglia con effetti sostanzialmente espropriativi del diritto sulla res” l'ordinanza ha cassato con rinvio affermando il seguente principio di diritto: “Con riferimento alla cessione al terzo, effettuata in costanza di matrimonio dal coniuge esclusivo proprietario, del diritto di proprietà dell'immobile precedentemente utilizzato per esigenze della famiglia, il provvedimento di assegnazione della casa familiare all'altro coniuge - non titolare di diritti reali sul bene - collocatario della prole, emesso in data successiva a quella dell'atto di acquisto compiuto dal terzo, è a questi opponibile… soltanto se - a seguito di accertamento di fatto da compiersi alla stregua delle risultanze circostanziali acquisite - il Giudice di merito ravvisi la instaurazione di un precedente rapporto, in corso di esecuzione, tra il terzo e il predetto coniuge, dal quale quest'ultimo derivi il diritto di godimento funzionale alle esigenze della famiglia, sul contenuto del quale viene a conformarsi il successivo vincolo disposto dal provvedimento di assegnazione, ipotesi che ricorre nel caso in cui il terzo abbia acquistato la proprietà con clausola di rispetto del titolo di detenzione qualificata derivanti al coniuge dal negozio familiare, ovvero nel caso in cui il terzo abbia inteso concludere un contratto di comodato, in funzione delle esigenze del residuo nucleo familiare, con il coniuge occupante l'immobile, non essendo sufficiente a tal fine la mera consapevolezza da parte del terzo al momento dell'acquisto della situazione di fatto di utilizzo del bene immobile da parte della famiglia”.
L'ordinanza in esame ha precisato che un’eventuale azione revocatoria condotta anche vittoriosamente verso il proprietario avrebbe rappresentato una questione differente, che non toglieva il suesposto principio di diritto. Insomma, di fronte alla eventualità non infrequente nella vita reale di una separazione “espulsiva” nei confronti del coniuge proprietario del bene, o comunque avente un titolo esclusivo al godimento dello stesso, alienare il bene anche nei confronti dei propri genitori per poi rimanere di fatto nella disponibilità dello stesso quale semplice comodante (o locatario), può non essere inutile ai fini di bloccare gli effetti dell'assegnazione. Occorre però che il comodato o la locazione siano inattaccabili dal punto di vista della destinazione del bene a un uso diverso del godimento del nucleo familiare. In definitiva, la mera consapevolezza della situazione di fatto da parte del proprietario dell'immobile non è sufficiente, ancorché si tratti di uno stretto congiunto dell’alienante. Pertanto, anche l’assenza di un formale comodato può risultare sufficiente per ottenere il rilascio dell’immobile nonostante la successiva assegnazione.
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